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Il detective dell'incubo di Tsukamoto Shinya

Costante del cinema di Tsukamoto Shinya è il sublime connubio tra metallo, carne e sangue. Si tratta di elementi ben evidenti sin dall’opera che diede a Tsukamoto grande richiamo internazionale, quel Tetsuo (1989) che rappresenta a buon diritto uno dei capolavori del cinema indipendente e alternativo giapponese. Questa costante ritorna con successo nell’ambizioso Nightmare Detective, film noir che entra, letteralmente, nei meandri della mente umana.


Due misteriosi suicidi, avvenuti con modalità simili, suscitano i sospetti della polizia di Tokyo. Incaricata delle indagini Kirishima Keiko, poliziotto dell’ufficio centrale al suo primo lavoro investigativo. La donna non è convinta che si tratti di suicidi, ma che dietro si celi la mano di qualche misterioso assassinio: entrambe le vittime sembrano morte a seguito di un incubo e la loro ultima telefonata è stata a uno stesso numero di cellulare, registrato come “0”. La mente delle vittime sembra essere stata condizionata dall’uomo che risponde all’altro capo del telefono. L’indagine si spinge così in una dimensione altra, tra realtà concreta e mondo soprannaturale, grazie all’aiuto di Kagenuma, il Nightmare Detective del titolo, un ragazzo in grado di entrare negli incubi delle persone.

Tsukamoto disegna un mondo estremo in cui la solitudine dei personaggi viene accentuata dal loro vivere in città-formicaio, fatte di grattacieli e di grovigli di strade. Ogni personaggio della pellicola vive una propria specifica solitudine: è la solitudine delle vittime, uccise da un killer che ha la capacità di assassinare negli incubi, vittime che cercavano loro stessi il modo per farla finita; è la solitudine del protagonista Kagenuma, che è a tutti gli effetti un diverso, una persona ai margini, che vive il suo potere non come un dono, ma come un tormento; è la solitudine, infine, dello stesso assassino, che, attraverso la morte delle sue vittime, vive un eterno suicidio. Sembra che solo attraverso il suicidio e la morte egli, come le sue vittime, possa dare un senso alla propria vita e, anzi, quasi tornare a vivere. Tsukamoto, in maniera egregia e potente, ci fa entrare nella solitudine di questi individui, penetrando nelle loro menti e nel loro inconscio.


Non siamo di fronte a un film originale per trama, che, a ben guardare, è molto più semplice e lineare di quanto voglia apparire, ma in ogni caso la visionarietà e la fisicità che Tsukamoto sa imprimere, partendo da un sapiente e assordante uso degli effetti sonori, rendono Nightmare Detective un eccellente prodotto, capace di catturare lo spettatore con la sua carica di tensione.


Nightmare Detective 2 si apre con il terribile incubo che ricorre nella mente di Kagenuma Kyoichi, un incubo che ha come protagonista sua madre, suicidatasi ormai malata di mente quando lui era appena un bambino.

Il dono che Kagenuma possiede di entrare nei sogni delle persone lo sta lentamente consumando e per questo vorrebbe smettere di essere un “indagatore dell’incubo”. La liceale Mashiro Yukie chiede però il suo aiuto. La ragazza e due sue amiche sono anch’esse tormentate da un incubo, in cui devono fare i conti con la compagna di classe Kikugawa, oggetto, in passato, dei loro maltrattamenti.

Si tratta, come detto, di un personaggio caro a Tsukamoto e appare quindi normale che il grande regista giapponese desse un seguito alla sua pellicola del 2006. Il risultato è eccezionale e, con ogni probabilità, anche migliore del primo episodio, concentrando la sua attenzione sulla complessa psiche del protagonista. A ben guardare Nightmare Detective era abbastanza lineare nel suo svolgimento. In questo caso la prospettiva cambia e sembra muoversi dalle parti di David Lynch, costruendo un film che è ancora più estremo sotto tutti i punti di vista. In Nightmare Detective 2, Tsukamoto introduce lo spettatore ancora più in profondità nei meandri dell’inconscio dell’individuo. Il viaggio raccontato dall’autore giapponese è complesso, fatto di flashback, di rimandi all’oscuro passato del protagonista, che da quel passato, sotto forma di incubo, è tormentato. Ci si sposta così da una storia reale a una dimensione onirica, dove il concetto di “rimorso”, elemento molto presente nella cultura giapponese, rappresenta una nota chiave. È un mondo onirico fatto di panico e di paura incontrollabile. Anche in questo caso Tsukamoto prende una materia non certo originale, ma la plasma a sua immagine, modellando l’insieme con il suo stile visionario e regalando una pellicola ben al di sopra della media.

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