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Il misticismo buddista di "State of Dogs"

Baasar è un cane randagio. Mentre sta vagando tra le strade della capitale Ulan Bator, viene ucciso da cacciatori il cui compito è ridurre il numero, altissimo, di cani senza padrone presenti in città. L’anima del cane si deve quindi reincarnare e, come si narra in una leggenda mongola, potrà avvenire sotto forma di essere umano, dopo aver passato una vita a vagare libero. Ma Baasar non vuole rinascere come uomo. L’anima di Baasar inizia quindi a ripercorrere tutta la sua esistenza: prima cane da pastore che viveva nella steppa con una famiglia nomade, poi abbandonato dai proprio padroni, infine l’incontro con una donna che aspetta un bambino.


Diretto nel 1998 dal mongolo Dorjkhandyn Turmunkh e dal belga Peter Brosens, quest’ultimo autore anche dello splendido Khadak (2006), State of Dogs è un film straordinario, sicuramente il migliore della Mongolia post comunista e forse dell’intera storia cinematografica di quel paese. Si tratta di una pellicola difficile da definire e inserire in un genere preciso. Elementi di finzione si integrano con stralci documentari, quasi etnografici, e altri fiabeschi, fantastici e impressionisti, come impressionista è l’immagine di Ulan Bator e della Mongolia che gli autori danno. Alle vicende del cane Baasar che non vuole diventare uomo, si affiancano leggende mongole, miti di fondazioni, cerimonie e canti popolari. Il risultato è un film profondo, riflessivo e altamente spirituale, dal sapore quasi mistico, lento, ma mai noioso, che affascina sin dal primo istante.

La reincarnazione di Baasar si fa metafora della condizione umana, in cui tutto scorre e tutto è movimento. Come fa ben notare Carson Lund su Cinelogue, il movimento è il tema centrale della pellicola, il nodo focale: il fluire della vita e il rapporto vita-morte sono mostrati visivamente attraverso movimenti reali e concettuali. Si va dall’errare del cane randagio al vagare della sua anima, dal transito di treni e auto in paesaggi sconfinati sino al passaggio dai costumi tipici a quelli della modernità. Il tutto si conclude con la scena che vede protagonista una contorsionista, che si esibisce sulle note di Charo Calvo, e che dà bene l’idea quasi di un’astrazione della vita.


Il misticismo di State of Dogs è autentico e non infastidisce certo lo spettatore che si ritrova trasportato in una realtà lontana. Presentato alla Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia e al Festival di Toronto, ha vinto 18 premi in giro per il mondo, tra cui il Grand Prix al Visions du Réel Film Festival di Nyon, Svizzera, tra le principali manifestazioni documentaristiche internazionali.

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